“Inizia l’anno 2020 e la storia del Moby Prince non è ancora finita: 29 anni, un’eternità, per molti una buona fetta di vita nella speranza di una giustizia. Una speranza ancora in attesa per le 140 famiglie delle vittime, che vogliono sapere cosa realmente è accaduto quella notte del 10 aprile 1991 nella rada del porto di Livorno”. Lo scrive in un messaggio di auguri Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto che entrò in collisione con una petroliera della Snam, presidente dell’associazione 10 aprile che raccoglie numerosi familiari delle vittime.
Sono stati decenni di attesa, scrive Chessa, “anche per tutti i cittadini italiani, che hanno il diritto-dovere di conoscere la verità sulla più grave sciagura della marina mercantile italiana dal dopoguerra”. Chessa spiega che dopo essere stati “per tanti anni” soli “finalmente un faro in una nebbia di cattiva giustizia si è acceso con il lavoro della Commissione Parlamentare di inchiesta”. Grazie a quel lavoro, secondo Chessa, “e al grande contributo” dato dal libro di Francesco Sanna e Gabriele Bardazza ‘Il caso Moby Prince: la strage impunita’, è stato “squarciato il muro di silenzio e sono state scardinate le conclusioni processuali del passato: la verità è sempre più vicina e due procure, quella di Livorno e di Roma, lavorano sui reati non prescritti”. Ma la novità più importante del 2019, sottolinea, è la causa intentata dai familiari delle vittime contro lo Stato, prima udienza al tribunale di Firenze il 26 marzo 2020: “Abbiamo citato i ministeri delle Infrastrutture e trasposti e della Difesa sulla base delle evidenze scaturite dal lavoro della Commissione Parlamentare, riguardo alla mancata azione di controllo sul porto di Livorno e all’omissione dei soccorsi al Moby Prince da parte degli organi competenti”. Ora, conclude, “resta da capire cosa è successo al Moby Prince prima della collisione, un tassello mancante in un puzzle in buona parte ricostruito, e perché le assicurazioni delle compagnie di navigazione coinvolte poco dopo due mesi dalla strage si sono accordate tra loro. Ancora troppi scheletri rimangono nascosti negli armadi. Speriamo che il nuovo anno che arriva riesca a liberarne qualcuno”
(foto Ansa)